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DIAZ, DON'T CLEAN UP THIS BLOOD


Ricordo che avevo solo undici anni quando in quella calda estate guardavo al telegiornale il G8 di Genova . Vedevo sfilare i cortei colorati del primo giorno, la tragica morte di Carlo Giuliani e la “macelleria messicana” , come in seguito fu chiamata, della scuola Diaz . Ricordo che in quei giorni l’attenzione era concentrata sulla morte di questo “pericoloso” black bloc, della violenza di questi ribelli da sedare a tutti i costi.. “Botte manganelli e sangue” era la “formula magica” di quei giorni. I giovani massacrati alla Diaz furono liquidati come black block asserragliati in una scuola considerati pericolosi solo perché in possesso di due molotov! Purtroppo solo dopo undici anni da questo tragico G8 qualcuno si è degnato di fare luce sugli avvenimenti di quella triste notte della storia italiana e mostrarli ai propri connazionali. 
È in questi giorni nelle sale cinematografiche il film di Daniele Vicari: Diaz, dont’clean up this blood . Un film che ti stritola lo stomaco, fa venire la pelle d’oca per l’abominio compiuto da quei poliziotti che sembravano dei vampiri assetati di sangue e che non hanno risparmiato nessuno dai propri manganelli, neanche le persone più anziane.                                                                                  
Film di straordinario realismo cerca di far capire che in quella scuola non c’erano pericolosi black bloc pronti ad asserragliare Genova ma come invece ci fossero dei ragazzi giunti da tutto il mondo per dire no alle politiche neoliberiste in maniera pacifica e non violenta. Tra questi c’erano anche giornalisti che hanno contribuito a portare la loro testimonianza di quanto avvenne quella notte in cui furono violati tutti i diritti di una società che vuole dirsi civile.
Questo film ha anche il grande merito di far vedere le barbarie, che i manifestanti “sopravvissuti” alla Diaz e trasportati alla caserma di Bolzaneto hanno dovuto subire. Di fronte a quelle immagini ho pensato subito ad Abu Grhaib, alle torture perpetrate ai prigionieri iraniani dai soldati americani nel 2004..  La Diaz mi ha dato l’impressione che potesse essere usata come una prova generale delle future torture in quel carcere tanto lontano da noi. Vicari però pecca nella scelta di non volere dare i veri nomi ai responsabili di questa vicenda.
Credo che, insieme con il lucido realismo narrativo, il definire i “macellai” dovesse essere uno degli obiettivi fondamentali del film , perché troppe volte ho sentito dire che era giusto punire i pericolosi black block presenti in quella scuola, troppe volte i canali informativi principali hanno fatto passare questa tesi ed ovviamente la maggior parte delle persone prende per Vangelo ciò che quest’ultimi fanno passare per vero, specie quando le notizie riguardano dei “pericolosi sinistroidi”.
Nonostante questa pecca, questo rimane sempre il primo film il cui regista ha avuto il coraggio di denunciare attraverso la pellicola cinematografica gli orrori di quella notte alla scuola Diaz e quei giorni alla caserma Bolzaneto. Il sottotitolo del  film è Don’t clean up this blood, frase che una manifestante, in una delle scene finali del film, scrive nella scuola Diaz dopo la notte del massacro. Frase intensa e carica di significato  vuole essere un ulteriore monito a punire i responsabili di questa macelleria messicana che tutt’ora girano a piede libero, anzi alcuni di questi sono stati anche promossi di grado, solo alcuni sono stati puniti ma con pene irrisorie. Quel sangue non va lavato, dobbiamo essere noi a portarne il ricordo e a far propria questa esperienza anche se eravamo “troppo piccoli” o “troppo impegnati” per essere presenti, non permettendo che né in Italia né nel resto del mondo avvengano nuovamente simili avvenimenti e che vengano finalmente puniti i responsabili di questa tragedia umana consumatasi nei giorni di quel lontano luglio. 





Pierangela Suriani








Diaz, don't clean up this blood- il trailer, di Daniele Vicari, Italia-Francia-Romania, 2012 


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